giovedì 24 ottobre 2013

72 aziende fanno ritorno in Italia. La Delocalizzazione è finita?


Secondo un articolo uscito sull’Espresso di questa settimana, dal 2009 sono 189 le aziende italiane che, dopo essersi trasferite all’Estero, hanno riportato in Patria la loro produzione e i posti di lavoro ad essa collegati. Nella speciale classifica riferita al 2012, l’Italia è il primo paese europeo per numero di ritorni, ben 72, dietro solo agli Stati Uniti a livello mondiale. Un dato che, tra tanti indici negativi, apre uno spiraglio di speranza per il nostro paese e per l'occupazione. 





                                                 
GLOBALIZZAZIONE E DELOCALIZZAZIONE - Lo spostamento degli stabilimenti all’Estero è stato un fenomeno che ha investito nel nuovo millennio tutti i paesi occidentali, assumendo però in Italia caratteristiche drammatiche. Favorito anche dall’ instabilità e dall’incapacità politica di chi ci ha governato negli anni scorsi.


UN MILIONE E MEZZO DI POSTI DI LAVORO ALL'ESTERO - Secondo una ricerca della Cgia di Mestre nel decennio dal 2000 al 2011 i posti di lavoro creati dalle aziende italiane all’estero sono stati oltre un milione e mezzo. (Dati riferiti ad aziende con un giro di affari all’estero superiore ai 2,5 milioni di euro).

Ovviamente non tutti questi posti di lavoro potevano essere creati o mantenuti in Italia, ma una piccola e importante percentuale, di sicuro si. E a questo dato vanno aggiunti i posti di lavoro che l’Italia ha perso per la decisione delle tante multinazionali estere, di lasciare la nostra penisola, per trasferirsi altrove.


FRANCIA, NON CINA - Le multinazionali cercano per loro natura il profitto e in questa epoca “globale” appare quasi scontato che per rimanere concorrenziali, vadano dove il costo del lavoro è più basso. Ma a leggere i dati c’è da rimanere stupiti: tra le sedi estere più gettonate dalle nostre aziende, a parte la Romania, ci sono paesi occidentali come gli Stati Uniti, la Germania e la Francia. Che non sono certo Stati in cui la manodopera è pagata due o tre dollari all’ora. Quindi, ne deduco, che ad attrarre gli imprenditori italiani non è unicamente il basso costo del lavoro dei paesi in via di sviluppo.

Cosa attrae allora i nostri imprenditori? E' una domanda che pongo anche ai miei eventuali lettori, magari esperti del settore. Per quanto mi riguarda, e per quello che abitualmente ascolto e leggo, sono diversi i fattori che hanno allontanato imprenditori e investitori dall’Italia. Il costo del lavoro, l’instabilità politica, la corruzione, la burocratizzazione eccessiva e lenta, e da non sottovalutare, la certezza del diritto e dei pagamenti. Senza dimenticare l'assenza di nuove infrastrutture.


QUALE SVILUPPO - A questo punto l’Italia, e la politica italiana, dovrebbero farsi qualche domanda. Come ad esempio: Quali sono le industrie a cui siamo interessati? Quale sviluppo vogliamo dare al paese? E di conseguenza, quali ritorni in Patria o investimenti vogliamo favorire?

Una volta chiariti questi aspetti, si passa all’operatività, limitando (senza estremismi e concessioni eccessive) tutti quei fattori che hanno allontanato gli investitori e gli imprenditori dalla nostra penisola. Rilanciando le Infrastrutture. Mettendo, ad esempio, in collegamento, i porti del Sud con il Nord Italia e Europa, tramite un servizio merci che rilanci il trasporto su rotaia. Ma qui, forse, entriamo nel campo dell’Utopia.





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