Secondo un articolo uscito
sull’Espresso di questa settimana, dal 2009 sono 189 le aziende italiane che,
dopo essersi trasferite all’Estero, hanno riportato in Patria la loro produzione
e i posti di lavoro ad essa collegati. Nella speciale classifica riferita al
2012, l’Italia è il primo paese europeo per numero di ritorni, ben 72, dietro solo agli
Stati Uniti a livello mondiale. Un dato che, tra tanti indici negativi, apre uno spiraglio di speranza per il nostro paese e per l'occupazione.
GLOBALIZZAZIONE E DELOCALIZZAZIONE - Lo spostamento degli stabilimenti
all’Estero è stato un fenomeno che ha investito nel nuovo millennio tutti i paesi occidentali, assumendo
però in Italia caratteristiche drammatiche. Favorito anche dall’ instabilità e dall’incapacità
politica di chi ci ha governato negli anni scorsi.
UN MILIONE E MEZZO DI POSTI DI LAVORO ALL'ESTERO - Secondo una ricerca della Cgia di
Mestre nel decennio dal 2000 al 2011 i posti di lavoro creati dalle aziende
italiane all’estero sono stati oltre un
milione e mezzo. (Dati riferiti ad aziende con un giro di affari all’estero
superiore ai 2,5 milioni di euro).
Ovviamente non tutti questi posti
di lavoro potevano essere creati o mantenuti in Italia, ma una piccola e
importante percentuale, di sicuro si. E a questo dato vanno aggiunti i posti di
lavoro che l’Italia ha perso per la decisione delle tante multinazionali
estere, di lasciare la nostra penisola, per trasferirsi altrove.
FRANCIA, NON CINA - Le multinazionali cercano per
loro natura il profitto e in questa epoca “globale” appare quasi scontato che
per rimanere concorrenziali, vadano dove il costo del lavoro è più basso. Ma a
leggere i dati c’è da rimanere stupiti: tra le sedi estere più gettonate dalle
nostre aziende, a parte la Romania, ci sono paesi occidentali come gli Stati
Uniti, la Germania e la Francia. Che non sono certo Stati in cui la manodopera
è pagata due o tre dollari all’ora. Quindi, ne deduco, che ad attrarre gli
imprenditori italiani non è unicamente il basso costo del lavoro dei paesi in
via di sviluppo.
Cosa attrae allora i nostri
imprenditori? E' una domanda che pongo anche ai miei eventuali lettori, magari
esperti del settore. Per quanto mi riguarda, e per quello che abitualmente ascolto
e leggo, sono diversi i fattori che hanno allontanato imprenditori e investitori
dall’Italia. Il costo del lavoro, l’instabilità politica, la corruzione, la
burocratizzazione eccessiva e lenta, e da non sottovalutare, la certezza del
diritto e dei pagamenti. Senza dimenticare l'assenza di nuove infrastrutture.
QUALE SVILUPPO - A questo punto l’Italia, e la
politica italiana, dovrebbero farsi qualche domanda. Come ad esempio: Quali sono
le industrie a cui siamo interessati? Quale sviluppo vogliamo dare al paese? E
di conseguenza, quali ritorni in Patria o investimenti vogliamo favorire?
Una volta chiariti questi
aspetti, si passa all’operatività, limitando (senza estremismi e concessioni eccessive) tutti quei fattori che hanno
allontanato gli investitori e gli imprenditori dalla nostra penisola. Rilanciando le Infrastrutture. Mettendo, ad esempio, in collegamento, i porti del Sud con
il Nord Italia e Europa, tramite un servizio merci che rilanci il trasporto su
rotaia. Ma qui, forse, entriamo nel campo dell’Utopia.
Nessun commento:
Posta un commento