giovedì 19 gennaio 2012

Concordia: prima i dispersi, poi i rimborsi..


A volte il destino fa strani scherzi. Mentre nel mare della Toscana venerdi sera si consumava la tragedia della Costa Concordia, nello stesso momento in televisione andava in onda "Babel": un film che racconta la decadenza della nostra società. La storia parte dal ferimento di una turista americana, colpita da un proiettile vagante, mentre si trova su un autobus in gita nel deserto del Marocco. Per salvarla il bus viene “dirottato” in un villaggio sperduto, alla ricerca di un dottore.

Il resto dei passeggeri, forse spaventato dall’accaduto, se ne frega della sorte della malcapitata e vuole abbandonarla al suo destino, per tornare in città. Ne nasce una discussione virulenta tra il marito della donna e parte dei passeggeri. Guardando quella scena, non ho potuto fare a meno di riflettere sulla mancanza di “pietas”, nel senso di compassione, capacità di immedesimarsi con gli altri e nel caso con la loro sofferenza, che pervade la nostra società. Una generale mancanza di umanità, a favore di una presunta efficienza, povera di contenuti, che ci sta (stava?) conducendo alla rovina. 
Questa stessa sensazione di mancanza di "pietas" l’ho avuta il lunedi successivo alla tragedia della nave Concordia, quando l’informazione nazionale, quella televisiva in particolare, si occupava della tragedia del Giglio: quello che doveva essere il centro dell’informazione, cioè la sorte delle vittime e soprattutto dei dispersi, diventava in tv una sorta di contorno a tutto il resto, dinamica, colpe, cause intentate alla compagnia dai sopravvissuti, proteste varie.

La morte delle persone già ritrovate e la ricerca dei dispersi era diventato un particolare dell’intera vicenda, non il centro della stessa. In un momento, in cui, tra l’altro, c’era ancora speranza di trovare in vita delle persone, rimaste bloccate all’interno della nave. In quei momenti tutte le energie andrebbero concentrate sulla ricerca dei sopravvissuti, posticipando la ricerca di colpe, colpevoli e quant’altro.

                         


Tutto dovrebbe ruotare, la realtà delle cose e la loro rappresentazione nei media, intorno alla “ricerca” della vita umana. Ma da noi le polveri sembrano scaldarsi solo nelle tante inutili discussioni elettorali pro o contro aborto. In quel caso tutti diventano difensori della vita. Quando rimangono trenta persone dentro una nave, con la possibilità di trovarne magari qualcuno vivo, i fanatici preferiscono intavolare altre discussioni, altrettanto inutili.

Aprendo una parentesi, è una prassi in voga anche in altri paesi. Come non dimenticare il presidente Usa George Bush, strenuo difensore della vita fetale, ma, distratto “omicida”, quando si trattava di attaccare l’Iraq, senza motivi validi se non gli interessi petroliferi. Legittimando, di fatto, la morte di migliaia di persone innocenti, che avevano come unica colpa, quella di essere già uscite dal feto.

Tornando all’Italia per fortuna il martedi successivo, l’informazione nazionale, carta stampata e tv, ha aggiustato il tiro, mettendo al centro dei loro titoli la notizia dei 29 dispersi. E credo che qualcosa sia successo anche nella realtà, visto che come hanno mostrato anche le immagini tv, si è passati ad una più massiccia presenza di soccorsi. Proprio martedì sono entrati in azione anche i diciotto sub del Corpo nazionale di soccorso alpino e speleologico (Cnsas), arrivati sul luogo della tragedia il giorno prima.

Quando c’è di mezzo la vita umana, non bisogna lesinare risorse. Certo, preoccupandosi, di arrivare all’obiettivo, quello di cercare persone, e non quello di mettere in atto una spettacolarizzazione dei soccorsi, come potrebbe lasciare intendere ad un cattivo occhio la lettura delle righe qui sopra.

Quando c’è di mezzo la vita umana, non bisogna distrarsi. Tocca lasciare da parte, tutto il resto, comprese accuse e accusatori.. per quelle c’è sempre tempo.. per rimanere in vita in una nave sommersa.. no. 

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