A volte il destino fa strani scherzi.
Mentre nel mare della Toscana venerdi sera si consumava la tragedia della Costa
Concordia, nello stesso momento in televisione andava in onda "Babel": un film
che racconta la decadenza della nostra società. La storia parte dal ferimento
di una turista americana, colpita da un proiettile vagante, mentre si trova su
un autobus in gita nel deserto del Marocco. Per salvarla il bus viene
“dirottato” in un villaggio sperduto, alla ricerca di un dottore.
Il resto dei passeggeri, forse spaventato
dall’accaduto, se ne frega della sorte della malcapitata e vuole abbandonarla al suo destino, per tornare in città. Ne nasce una discussione virulenta tra il marito della donna e parte dei passeggeri. Guardando quella scena, non ho potuto fare
a meno di riflettere sulla mancanza di “pietas”, nel senso di compassione, capacità
di immedesimarsi con gli altri e nel caso con la loro sofferenza, che pervade la
nostra società. Una generale mancanza di umanità, a favore di una presunta
efficienza, povera di contenuti, che ci sta (stava?) conducendo alla rovina.
Questa stessa sensazione di mancanza di
"pietas" l’ho avuta il lunedi successivo alla tragedia della nave
Concordia, quando l’informazione nazionale, quella televisiva in particolare,
si occupava della tragedia del Giglio: quello che doveva essere il centro
dell’informazione, cioè la sorte delle vittime e soprattutto dei dispersi,
diventava in tv una sorta di contorno a tutto il resto, dinamica, colpe, cause
intentate alla compagnia dai sopravvissuti, proteste varie.
La morte delle persone già ritrovate e la
ricerca dei dispersi era diventato un particolare dell’intera vicenda, non il
centro della stessa. In un momento, in cui, tra l’altro, c’era ancora speranza
di trovare in vita delle persone, rimaste bloccate all’interno della nave. In
quei momenti tutte le energie andrebbero concentrate sulla ricerca dei
sopravvissuti, posticipando la ricerca di colpe, colpevoli e quant’altro.
Tutto dovrebbe ruotare, la realtà delle
cose e la loro rappresentazione nei media, intorno alla “ricerca” della vita
umana. Ma da noi le polveri sembrano scaldarsi solo nelle tante inutili
discussioni elettorali pro o contro aborto. In quel caso tutti diventano
difensori della vita. Quando rimangono trenta persone dentro una nave, con la
possibilità di trovarne magari qualcuno vivo, i fanatici preferiscono
intavolare altre discussioni, altrettanto inutili.
Aprendo una parentesi, è una prassi in
voga anche in altri paesi. Come non dimenticare il presidente Usa George Bush,
strenuo difensore della vita fetale, ma, distratto “omicida”, quando si
trattava di attaccare l’Iraq, senza motivi validi se non gli interessi
petroliferi. Legittimando, di fatto, la morte di migliaia di persone innocenti,
che avevano come unica colpa, quella di essere già uscite dal feto.
Tornando all’Italia per fortuna il martedi
successivo, l’informazione nazionale, carta stampata e tv, ha aggiustato il
tiro, mettendo al centro dei loro titoli la notizia dei 29 dispersi. E credo
che qualcosa sia successo anche nella realtà, visto che come hanno mostrato
anche le immagini tv, si è passati ad una più massiccia presenza di
soccorsi. Proprio martedì sono entrati in azione anche i diciotto sub del Corpo
nazionale di soccorso alpino e speleologico (Cnsas), arrivati sul luogo della
tragedia il giorno prima.
Quando c’è di mezzo la vita umana, non
bisogna lesinare risorse. Certo, preoccupandosi, di arrivare all’obiettivo,
quello di cercare persone, e non quello di mettere in atto una
spettacolarizzazione dei soccorsi, come potrebbe lasciare intendere ad un
cattivo occhio la lettura delle righe qui sopra.
Quando c’è di mezzo la vita umana, non
bisogna distrarsi. Tocca lasciare da parte, tutto il resto, comprese accuse e
accusatori.. per quelle c’è sempre tempo.. per rimanere in vita in una nave
sommersa.. no.
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